Se ci si ferma a meditare su quale sia la maniera più funzionale e più democratica in cui delle persone possano incontrarsi per parlarsi, per condividere delle esperienze o per praticare insieme qualsiasi tipo di pratica o esercizio la forma che intuitivamente sorge spontanea, è quella del cerchio. Il cerchio, per definizione, è: “Parte di piano delimitata da una linea curva chiusa, detta circonferenza, ove per circonferenza si intende il luogo geometrico dei punti di un piano che hanno da un punto dato (centro) distanza uguale a un segmento dato (raggio). (da OxfordDictionaries – Le Monnier/Mondadori Education)
Quando facciamo parte di un cerchio noi siamo i “punti” del piano che formano la circonferenza. Senza anche solo uno dei punti il cerchio si apre e quindi perde la sua proprietà di essere una forma geometrica perfetta. Possiamo capire come, se anche solo una persona appartenente a quel cerchio è assente o se ne va, il cerchio subirà una crisi finalizzata al mantenimento dell’unità circolare, e quindi al ristabilirsi della figura perfetta. Questo per dire quanto, anche solo l’esperienza stessa di partecipare a un cerchio sia già di per sé qualcosa di molto terapeutico e trasformante, perché dà dignità di presenza ad ogni individuo, ad ogni “punto”, senza il quale il cerchio non è più un cerchio. Allo stesso tempo, essendo ogni punto equidistante dal punto centrale (il “fuoco” in termini fotografici), ed essendo ogni punto appartenente allo stesso piano di cui il cerchio fa parte, ognuno ha la stessa dignità. Non esiste, infatti, un cerchio con un punto che sia “più” o “meno” degli altri, o che stia più in alto o più in basso. Non esiste, all’interno di un cerchio di individui, qualcuno che abbia più potere o più diritto di parlare degli altri. In questo l’esperienza del cerchio è anche educativa, ci insegna l’arte della pazienza, dell’ascolto, del rispetto reciproco, e dell’accettazione dell’altro appartenente allo stesso cerchio a cui Io appartengo.
Infine il cerchio è l’unica conformazione che permette ad ogni persona di avere tutti gli altri all’interno del proprio campo visivo, senza che ci si debba spostare, cosa che comporterebbe di nuovo l’apertura del cerchio e quindi la perdita dell’equilibrio di gruppo. Questa non è cosa da poco, se si pensa che raramente riusciamo a “tenere dentro tutti” nel considerare le opinioni altrui. Abbiamo visto così come la conformazione “a cerchio” sia una buona base di partenza per fare in modo che un gruppo di persone possa entrare in contatto e cominciare a strutturare una relazione di gruppo e anche un senso di identità, prima ancora di cominciare a parlare o di fare qualsiasi cosa. Sembra incredibile che nelle nostre scuole e università alla conformazione “a cerchio” sia stata preferita la modalità “frontale” di insegnamento, in cui c’è il maestro o il professore che spiega ed in cui ci sono gli allievi, ognuno posizionato come in una griglia di partenza di Formula Uno.
Dal punto di vista simbolico è ovvio che questa conformazione sia già di per sé significativa: chi sta in prima fila è più esposto, e chi sta dietro è più lontano dal “fuoco”, cioè la lavagna, con tutte le connotazioni comportamentali e psicologiche che questo comporta (di solito i “secchioni” stanno davanti perché vogliono farsi vedere dal professore, e non hanno nulla da nascondere, mentre gli alunni più problematici sono storicamente quelli che si siedono in fondo alla classe e che vengono spediti al primo banco se fanno troppo rumore). Vediamo come già solo l’esperienza di sedersi davanti o dietro fa entrare gli individui appartenenti a quel gruppo in ruoli in non si è alla pari ed in cui il fuoco è sbilanciato verso il docente, ovvero colui che ha più potere, che detiene la conoscenza e che in generale è colui che parla, che insegna (docet) mentre gli alunni non godono di questo potere, in quanto posti in una condizione di ascolto passivizzante. Anche nei convegni e nelle conferenze questa conformazione è ormai radicata, il che indica quanto questa modalità di insegnamento e di apprendimento, questa conformazione di gruppo sia stata ormai accettata dalla società. Anche la società occidentale stessa è basata su questi presupposti: c’è chi detiene più potere, chi detiene la conoscenza, chi è “più” degli altri, e poi c’è la massa, che si contende illusorie soddisfazioni e status e che accetta questa disposizione in maniera acritica, perché è molto più comodo delegare il potere, e ascoltare passivamente.
Il cerchio riconsegna dignità ad ogni individuo e ridistribuisce il potere in maniera equa. In cerchio ognuno ha diritto di parola, ognuno può prendere il suo tempo all’interno nel tempo collettivo; ognuno, dal suo posto, può esprimere le proprie potenzialità, le proprie abilità. Se considerassimo tutta l’umanità come un enorme cerchio, arriveremmo così, a livello metaforico, a vedere nel cerchio la forma adeguata per fare in modo che ognuno trovi il suo posto nel mondo, e anche per vedere in ogni persona ciò che la rende unica ed inimitabile rispetto a tutte le altre. Dobbiamo renderci conto di far ancora parte del cerchio degli uomini e di non essere più abituati a farlo. Ciò è evidente quando proviamo a vivere l’esperienza diretta del Cerchio.
MARTEDI’ 16 GIUGNO 2015 CERCHIO DI CONDIVISIONE A MILANO (CLICCA QUI PER PARTECIPARE)